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La sfida delle mogli, on demand il nuovo film di Peter Cattaneo

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Si dice che quando qualcuno muore, sia più dura per chi resta che per chi lascia questo mondo. E così quando un soldato parte in missione, che sia di guerra o di pace, probabilmente il peso maggiore ricade sulle spalle di chi lo aspetta a casa senza alcuna certezza. Nel 2011 i soldati inglesi lasciano la base militare dove vivono con le loro famiglie e partono per l’Afghanistan. Le loro mogli rimangono nelle case per lo più vuote con il pensiero fisso all’uomo che amano e con la continua paura che squilli il telefono o che qualcuno bussi alla loro porta con una brutta notizia. Perché accade. Più spesso di quanto si immagini. È accaduto anche a Kate che nell’ultima missione ha già perso un figlio e adesso rischia per la quinta vota di perdere anche suo marito. Ma lei è forte, si dà da fare, perché la parola d’ordine per le mogli della base è tenere la mente occupata e distrarsi per non pensare troppo. A più di vent’anni da Full Monty in cui raccontava con ironia e sagacia l’arte di arrangiarsi e reinventarsi di un gruppo di operai inglesi disoccupati che per tirare su qualche soldo finiscono a spogliarsi a ritmo di musica, Peter Cattaneo torna a raccontare della forza delle persone puntando sempre sulla musica ma stavolta sulle donne e su una storia vera: lo fa con La sfida delle mogli che arriva on demand su Sky Primafila Premiere, TimVision, Chili, Huawei video, Rakuten TV e Infinity grazie a Eagle Pictures per #iorestoacasa, in una data per noi probabilmente non casuale, il 25 aprile, Festa della Liberazione dal nazifascismo, commedia divertente ma profonda, che mostra la fragilità delle donne e al tempo stesso la loro potenza nel reagire e fare rete, esaltando il valore della sorellanza e dell’empatia. Nessuna di loro è perfetta, la convivenza, come avviene in famiglia, porta a incomprensioni, scoppi di collera, sfoghi che sfiorano il sarcasmo più feroce, ma è solo perché sono diventate così importanti l’una per l’altra che non sopportano il benché minimo tradimento. La sfida delle mogli commuove a tratti fino all’esplosione finale che lascia quella classica sensazione liberatoria che fa bene al cuore. Anche stavolta il cast è perfetto, a cominciare da Kristin Scott Thomas (Il Paziente inglese, Ti amerò per sempre, Quattro matrimoni e un funerale) che interpreta Kate e Sharon Horgan (Catastrophe, Game Night – Indovina chi muore stasera?) che fa Lisa, due donne così diverse tra loro nel temperamento e nel modo di reagire al dolore e alla paura da sembrare acerrime nemiche per poi stringersi in un legame così stretto da trasformarsi in abbraccio.

Ecco in sintesi la storia de La sfida delle mogli. C’è aria di partenza e solitudine alla base militare inglese, è notte quando gli uomini salutano mogli e figli, mimetica addosso e sulle spalle un enorme zaino da portare in Afghanistan. Ci sono baci appassionati, abbracci e semplici saluti, come a casa di Kate dove suo marito Richard (Greg Wise) la saluta come stesse andando in ufficio per rivedersi a cena, e lei non chiede di più. Ognuna delle donne lasciate sull’altro fronte, quello della famiglia da gestire in solitudine, reagisce in modo differente: chi prepara con i figli la tabella della felicità con tante caselle per tanti giorni da sbarrare fino a quando “papà non torna e noi saremo felici”, e chi in privato riempie scaffali di prodotti comprati in televendita e in pubblico si dedica anima e corpo a organizzare attività sociali per tutte le mogli rimaste sole per sostenerle, tenerle occupate e distrarle fintanto che i mariti restano lontani. Kate è davvero fissata con questo, prende molto sul serio il suo compito, che peraltro nessuno le ha attribuito perché spetterebbe a Lisa, e mette a disposizione della sua missione tutte le sue competenze o reminiscenze di capacità poi abbandonate, come la musica. Tra incontri e scontri nascerà infine un coro che sarà davvero il luogo non-luogo dell’amicizia, dell’unione che fa la forza, della solidarietà e della condivisione tra tutte loro, e che le porterà fino alla Royal Albert Hall di Londra a cantare al Concerto della Memoria, quello che ogni anno celebra la fine della prima guerra mondiale e i caduti di tutte le guerre, un’esibizione emozionante e intensa che lascerà il segno per tutte le loro, e anche per chi vedrà il film. La sfida delle mogli, sceneggiatura firmata da due donne, Rosanne Flynn e Rachel Tunnard, è ispirato alla vera storia del primo Military Wives Choir formatosi nel 2011 cui ne seguirono molti altri in tante basi militari, anche in quella di Napoli. 

 


Cobra non è, videointerviste a Gianluca Di Gennaro e Denise Capezza

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Due uomini con una preziosa valigetta, ovvero un rapper in declino di nome Cobra (Gianluca Di Gennaro) e il suo manager Sonny (Federico Rosati), un sadico che si fa chiamare l’Americano (Nicola Nocella) che potrebbe dar loro i soldi che gli servono, una ex di nome Angela o Angelà (Denise Capezza) che torna dopo anni più bella e più tosta che mai, una banda criminale di rumeni, fughe rocambolesche, sparatorie, night club, e tutto in una sola notte. Ecco in supersintesi Cobra non è, una crime comedy un po’ noir, un po’ pulp, e molto altro difficile a definirsi, opera prima di Mauro Russo, giovane regista salentino che arriva dal mondo dei videoclip, on demand su Prime Video da giovedì 30 aprile con 102 Distribution. E ci possiamo anche aggiungere una scena di tortura firmata dal maestro Ruggero Deodato, regista cult di Cannibal Holocaust, Inferno in diretta, Ultimo mondo cannibale, che torna alla macchina da presa proprio per l’occasione di rendere omaggio al cinema di genere italiano degli anni Settanta e Ottanta, quello amato anche da Quentin Tarantino; e qualche cameo dal mondo della musica che non t’aspetti, da Clementino a Elisa e Max Pezzali, da Tonino Carotone e Enzuccio.

Abbiamo videointervistato via Skype il protagonista Gianluca di Gennaro (Come un delfino, Gomorra 2 La serie, Rosy Abate, Lo chiamavano Jeeg Robot, Zeta, Capri Revolution e tanto altro ancora), figlio, anzi, nipote d’arte, che si sta godendo, si fa per dire, la quarantena a casa con il figlio Gabriele di 8 anni e con tanto ottimismo, e che ci descrive Cobra come “un rapper con alti e bassi” e Cobra non è un film assolutamente “non collocabile” se non come “un insieme di tante cose, un esperimento e un qualcosa di poco visto soprattutto in Italia”. Ci parla Gianluca di Gennaro anche della street poetry, che nel film sostituisce più o meno il pensiero di Cobra, di come si sente orgoglioso del fatto che gran parte della sua carriera fino ad oggi è stata dedicata a film che in qualche modo denunciavano i problemi della sua amata Napoli, ma anche della voglia, legittima, di cambiare un po’ direzione. Cobra non è va certo in questa direzione così come altri progetti di cui ci anticipa nella nostra videointervista, come Tigers di Ronnie Sandahl che ha appena finito di girare, ma anche di una storia molto bella all’insegna della solidarietà che vorrebbe fare sua. Senza dimenticare la nuova stagione de I Bastardi di Pizzofalcone di cui sarà protagonista di una puntata. 

Abbiamo videointervistato, sempre via Skype, anche Denise Capezza (Don Matteo, Gomorra La serie, Baby), anche lei che cerca di tenersi impegnata al meglio in questi giorni che ci costringono in casa e dei quali forse approfitterà per imparare a suonare la chitarra, e che ci spiega subito come la storia di Cobra non è sia molto fumettistica e quindi anche i personaggi siano resi appositamente, anche nella recitazione, un po’ sopra le righe. Non fa eccezione la sua Angelà che Denise Capezza definisce “un po’ un gatto”, una donna molto forte che vive in un mondo di uomini, furba e misteriosa, alla resa dei conti con il suo ex, ma che a differenza di Cobra è rimasta nel mondo della criminalità. Poi anche con lei parliamo di altro, della sua carriera esplosa in Turchia, del suo modo di recitare approfondendo sempre la storia dei suoi personaggi anche quando nel copione non c’è, di come la ritroveremo in Baby 3 sempre nel ruolo di Natalia, e del suo desiderio ancora non esaudito di interpretare, per una volta, la ragazza della porta accanto. Ecco le nostre videointerviste a Gianluca di Gennaro e Denise Capezza:

DNA Decisamente Non Adatti, intervista a Lillo, Greg e Anna Foglietta

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Esordio alla regia per Lillo e Greg con DNA Decisamente Non Adatti che li vede anche protagonisti assieme a Anna Foglietta, on demand da giovedì 30 aprile su Sky Primafila Premiere, Timvision, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten TV. Prodotto da Lucky Red e Vision Distribution, è un film divertente e surreale ma con uno sguardo ironico e sarcastico su alcune realtà dei nostri giorni che lo rendono molto attuale, persino rispetto al periodo che stiamo vivendo. E ispirato, per stessa ammissione di Lillo e Greg, a Le folli notti del Dottor Jerryll, film interpretato e diretto nel 1963 da Jerry Lewis – dove un insegnante di chimica impacciato e deriso anche dai suoi studenti, grazie a un suo ritrovato diventa uno scaltro e sicuro play boy – ma con riferimenti anche a Mel Brooks, Almodovar, Kubrick, persino alla saga di James Bond, nonché, per la regia dinamica e ironica, alla Trilogia del Cornetto di Edgar Wright e Simon Pegg, ovvero L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz e La fine del mondo. Come spesso accade, tutto in DNA Decisamente Non Adatti inizia dalla scuola: Ezechiele (Greg) è un nerd bullizzato da Nando (Lillo), e mentre il primo da grande diventa un professore di chimica, Nando resta bullo e, con il soprannome di Bulldog (ma non ditegli che è per le guance) si occupa di convincere una serie di negozianti a sloggiare per far posto al franchising di una nota catena di fast food, e lo fa con la sua gang scalcinata composta da Tarzanello, Mecojo, Piattola, Trepalle e Svampa (Max Paiella, Lallo Circosta, Marco Marzocca, Fabrizio Sabatucci e Renato Zappalà). Finché ognuno dei due non avrà bisogno di un pizzico dell’altro nei modi e nel sapere, ma lo capisce prima Ezechiele che decide di compiere l’esperimento della sua vita, scambiandosi il DNA con Nando. Tanti i temi toccati, bullismo in primis (entrambi da ragazzini ne sono stati vittime), e finale che sembra restare aperto ma “niente sequel, non siamo i tipi” chiosa Lillo. Trilplo lavoro per Anna Foglietta, sempre fantastica nei suoi ruoli drammatici quanto in quelli brillanti e comici, che in DNA Decisamente Non Adatti interpreta sia Renata che Jessicah che Elena, ovvero l’algida moglie di Ezechiele, la trans accogliente e la mite e impacciata libraia Elena, amante della poesia. La nostra intervista al trio comincia da qui.

Anna, quale di queste tre figure hai amato di più?  

Anna Foglietta: sono tutte e tre estremamente caratterizzate e molto divertenti. Mi è rimasta un po’ qui Jessicah perché abbiamo girato solo due scene, mentre in realtà avrei voluto farci un film intero che potrebbe essere uno spin off, perché fa molto simpatia questa trans che oltre a elargire favori sessuali e amore, per quanto a pagamento, offre soprattutto consigli, è molto comprensiva, conosce l’animo umano nel dettaglio… e questo fa molto pensare perché è vero che tantissimi uomini in realtà vanno da loro per cercare una certa forma di calore umano. Sono persone molto accoglienti, e poi simpaticissime: le mie vicine di camerino erano delle vere trans e facevano un casino e si divertivano come matte tanto che a un certo punto sono andata a bussare alla loro porta e ho chiesto “invitatemi in camerino con voi, che sto a fare là da sola…” Però Renata, il personaggio della moglie annoiata di Ezechiele, è quella che ci ha fatto più ridere sul set, le cose su di lei le trovavamo sul momento, è un personaggio che si prestava tantissimo anche a un certo istrionismo. Il rischio era quello di creare delle maschere, cosa che non volevamo assolutamente fare. Ci ha pensato Greg a tenerci su una visione più realistica rispetto a me e a Lillo, entusiasti di natura. Ci è voluto del tempo per caratterizzarle e mi sono divertita molto a switchare tra loro.

Greg e Lillo, come e perchè avete deciso di debuttare come registi?

Greg: trovarci dietro alla macchina da presa è stato entusiasmante, un’esperienza che va ripetuta. Sapevamo già che nel momento in cui avessimo fatto un film nostro nel soggetto e nella sceneggiatura dovevamo anche dirigerlo, così come fece Jerry Lewis, grande ispiratore di questo film. Il nostro umorismo, che è molto di situazione, richiede un taglio cinematografico di inquadrature e montaggio al servizio delle gag. Volevano un film umoristico e divertente ma anche gradevole nell’immagine, che avesse cioè una veste grafica unitaria.

Lillo: confermo che nel nostro tipo di comicità la regia sia molto importante e anche il montaggio, quindi avevamo l’esigenza di poter essere liberi completamente per dare il massimo valore al nostro tipo di comicità. Mi spiace molto che il primo film interamente nostro non venga proiettato sul grande schermo, da grande amante del cinema perdere quell’emozione mi rattrista molto, ma è anche vero che, data la situazione, questo è l’unico modo per rispettare la data di uscita e per farlo arrivare nelle case, anche perché è un film a cui teniamo tanto.

Se poteste prendere il DNA di qualcuno che conoscete a chi vorreste rubarlo?

Anna Foglietta: non so se pensare a qualcuno del passato, forse a Gandhi, per fare una grande rivoluzione pacifica, silenziosa, profonda, che possa durare nei secoli dei secoli… amen.

Avrei detto più Alda Merini vista la tua appassionata interpretazione a teatro…

Anna Foglietta: Beh, diciamo che con lei ho già dato  

Greg: il personaggio che ho fatto nel film e che ho amato di più è Ezechiele…. (scherza, perché interpreta soltanto lui… ndr) Riguardo invece alla tua seconda domanda, se potessi prendere in prestito del DNA, prenderei quello di Brian Wilson, il leader dei Beach Boys che ha intrapreso un percorso musicale di composizione e innovazione del genere veramente mastodontico, il primo che ha ideato il primo disco di musica psichedelica concettuale…

Lillo: io ho desiderato tantissimo nella mia adolescenza avere il DNA di qualcun altro, anche verso i 17 e 18 anni, quando si andava con gli altri ragazzi a Rimini a rimorchiare le ragazze in discoteca, e i miei amici erano sempre molto bravi ad approcciare mentre io sono sempre stato vittima di una profonda timidezza e ho capito che era nel mio DNA, quindi era una lotta con me stesso perché vedevo che i miei gli amici riuscivano a portare avanti la loro missione mentre me era un disastro. Io sono stato per anni e anni molto timido, e lo sono tuttora, ma da adolescente di più, per cui ho desiderato tanto avere il DNA di qualcuno che non lo fosse. La timidezza è una brutta bestia…

Ma se ti chiedessi proprio un nome?  

Greg: Gianfranco Piacentini, l’ex play boy!

Lillo: ecco Piacentini… no ma adesso non mi interessa più, se proprio devo darti un nome, te lo do dal punto di vista artistico: io sono un grande appassionato di chitarra, però non sono portato per niente per lo strumento, dovrei studiarlo tantissimo, per cui ecco, mi piacerebbe avere il DNA di Stevie Ray Vaughan  

Visto che siamo in tempo di Coronavirus e ipotesi surreali e teorie complottistiche sulle origini della pandemia si sprecano, non è che qualcuno particolarmente portato a farlo dopo aver visto il vostro film in cui parlate di “epidemia pilotata” potrebbe tirar fuori la storia che il Covid-19 sia stato inserito nei panini dei fast food?

Lillo: Certo, per alcuni complottisti, visto che ci sono anche quelli che dicono che la terra è piatta o che il Molise non esiste…. In effetti c’è questa casualità incredibile nel finale del film che si rifà molto all’attualità e a quello che stiamo vivendo. Ma credo che più che un film su questo, mi piacerebbe fare un documentario su come effettivamente alcune persone saranno diverse. Credo che questo evento cambierà molta gente e, spero in modo positivo, anche l’andazzo della società mondiale almeno per le menti più sensibili, grazie all’aver capito che probabilmente sono molto più importanti certe cose rispetto ad altre alle quali abbiamo dato troppa importanza fino ad oggi. Se dovessi fare qualcosa sul Coronavirus, mi piacerebbe provare a fare qualcosa sull’effettivo cambiamento nella società rispetto a questo dramma che stiamo vivendo…

Greg: comunque c’è già chi ipotizza che alcune catene di fast food immettano nei loro prodotti sostanze che creano dipendenza…

Anna Foglietta: credo che in ogni caso il cibo spazzatura in questo periodo abbia avuto un incredibile botta d’arresto, noi donne siamo tutte esaurite, tutte quante a cucinare con un entusiasmo che mano a mano svanisce sempre di più, da adesso in poi solo pasta  in bianco tutti i giorni e zitti, e ringrazia Dio che te la faccio… la teoria del Covid nei panini la trovo alquanto irreale, è più reale che esista il Molise ecco…

Tornando alle cose che potrebbero cambiare, ci mettiamo anche certa televisione trash che in DNA Decisamente Non Adatti è incarnata dall’ex tronista e opinionista Pamela Debori interpretata da Chiara Sani che fa la Marini…?

Lillo: La Marini è un cavallo di battaglia di Chiara Sani che ce l’ha proposto, diciamo che però non rappresenta Valeria Marini in sé ma appunto un mondo di opinionisti rappresentati poi con quella chiave, lei poi è irresistibile quando la fa…

Greg: a noi serviva il personaggio che in televisione contrasta con le sue idee completamente fuori luogo la voce ufficiale e autorevole che dice cose giuste perché le ha studiate, mentre l’opinionista, che è poi quello che purtroppo la maggior parte del pubblico segue, va per la tangente e dice cose astruse.

E ci vogliamo mettere anche il Trapper interpretato da un irriconoscibile Greg?

Greg: Il trap è un’altra di quelle derive che stiamo vivendo, come anche tantissimo pop di bassa lega che circola, ed è esattamente quello che può affascinare i due figli che io, come Ezechiele, ho nel film, che passano il tempo davanti alla TV a vedere questa realtà vacua e ascoltano questo tipo di musica che musica non è, rappresentata da liriche piene di fuffa.

Ti sei ispirato a quale trapper in particolare?

Greg: mi sono ispirato a diversi personaggi di questo tipo, ma con maggior risalto alla DPC, la Dark Polo Gang, e al loro brano Cono Gelato che viene qui travisato nel Termosifone…

 

 

 

Positive, il toccante corto di Giuseppe Alessio Nuzzo in tempo di Covid

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Un respiro affannato in sottofondo e poi la donna comincia a parlare, solo dopo qualche secondo la vediamo in viso, o quasi, occhi profondi e mascherina. Parla del tempo, troppo lungo per chi attende, assolutamente breve per chi deve correre ai ripari: il primo è quello dei pazienti, l’altro appartiene a medici e infermieri in prima linea contro il mostro invisibile e beffardo. A loro è dedicato Positive, il film breve nato durante l’emergenza sanitaria del Covid 19 da un’idea di Giuseppe Alessio Nuzzo (Le verità, Lettere a mia figlia, Il nome che mi hai sempre dato, La scelta – The choice, Fame) e interpretato da Ester Gatta e Fabrizio Nevola. Utilizzando le tecniche del documentario e del mockumentary, Positive mostra ciò che è fuori, evidente a tutti, strade e piazze deserte, bandiere che sventolano, il getto dei disinfettanti, e anche ciò che è dentro, ma non per questo meno vero, i pensieri, i timori, le riflessioni che sorprendono a volte anche noi stessi. La donna e l’uomo si parlano a distanza, ma non li vediamo mai insieme nella stessa sequenza: lei racconta il colpo al cuore quando è arrivato il momento di non sentirsi più “tra i sani” ma “un replicante” come i tanti che non riescono più a respirare né a sentire più neanche i sapori, passando improvvisamente dal curarli a far parte di loro; l’altro le ricorda che questo tempo, una volta fuori, ci lascerà anche qualcosa di bello, come i gesti di solidarietà, la rinascita, un mondo nuovo, e forse, appena accennata, la loro storia, chiedendole un sorriso. Toccante e intenso ma senza retorica, Positive prova a farci sperare ancora nel futuro, anche se la parola positivo non avrà più lo stesso significato. Prodotto da ESGA Trading con la produzione esecutiva di Paradise Pictures, prima di girare, appena possibile, per festival internazionali grazie all’accordo con la London Movie Ltd, Positive è visibile fino a domani, domenica 3 maggio, in anteprima web sul canale Vimeo al link vimeo.com/bepositiveproject/film. Guardatelo, è un consiglio, 10 minuti ben spesi in un tempo immobile e contraddittorio come il presente che è tanto lungo quanto breve.

 

Tornare, on demand il film di Cristina Comencini con Giovanna Mezzogiorno

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A volte i nostri ricordi più dolorosi vengono rimossi, li accartocciamo come fogli di carta su cui abbiamo scritto qualcosa di sbagliato e li gettiamo nel fondo dell’inconscio, non avendone più alcuna percezione. Meglio così, non ne soffriremo ancora. Anche se la nostra vita diventa un altro racconto, senza verità, un’altra memoria. Tutto senza accorgercene naturalmente, in modo assolutamente non cosciente, come ogni meccanismo di difesa. Per ritirarli fuori, quei ricordi dolorosi, assieme alla verità, quando si sospetta che possano essere la causa recondita di un disturbo, beh, ci vuole la psicoanalisi, come ci ha spiegato bene un certo Sigmund Freud. Oppure possiamo ripercorrere quelle tappe, tornare, come si suol dire, sul luogo del delitto, e in alcuni casi quel rivivere luoghi e situazioni può essere davvero terapeutico. Poi se stavamo meglio prima o dopo aver ricordato, è un’altra storia. Ecco, di rimozione parla Tornare, il nuovo film di Cristina Comencini, che ne ha curato anche soggetto e sceneggiatura assieme a Giulia Calenda e Ilaria Macchia, che arriva on demand su Sky Primafila Premiere, Timvision, Chili,  Google Play, Infinity, CG Digital, Rakuten TV da lunedì 4 maggio con Vision Distribution. La protagonista è Giovanna Mezzogiorno tornata ad essere diretta dalla Comencini a quasi quindici anni da La bestia nel cuore, e a girare a Napoli a tre anni dalla Napoli velata di Ferzan Ozpetek, una “Napoli ricordata, deformata, angosciante e bellissima, luogo anche della mia memoria giovanile” dice Cristina Comencini. In Tornare l’attrice romana interpreta Alice, una donna sulla quarantina che dopo più o meno a metà della sua vita è stata spedita dal padre, un ufficiale di marina, in America, luogo simbolo di un irreversibile lontano da cui non tornare più indietro, una decisione presa all’improvviso della quale lei non ricorda tuttora il motivo. Alice era una ragazzina vivace, piena di vita e con tanta voglia di divertirsi, leggera, nel senso positivo del termine, ma per questo non sempre compresa. Esattamente com’era stata sua madre (Astrid Meloni), fino a che non sposò suo padre. A vent’anni da quella decisione che le spezza a metà la vita, il padre muore e lei rientra nella sua città per il funerale. Rivede la sorella (Barbara Ronchi), qualche conoscente e un tipo affascinante e pure un po’ inquietante, tale Marc (Vincenzo Amato), che, le racconta, ha fatto compagnia a suo padre negli ultimi mesi della sua vita – e per questo sa tanto di lei – e ora si offre di farla a lei, in qualunque momento ne sentisse il bisogno, e di accompagnarla ovunque lei debba andare, insomma davvero gentile, anche troppo. Intanto nella sua vecchia casa che l’ha vista bambina, adolescente e quasi donna e che ora ha messo in vendita, Alice si imbatte in un’esuberante ragazza dai grandi occhi chiari come i suoi alla quale si affeziona (Beatrice Grammò) senza capire, sul momento, che ha ritrovato se stessa. E continuerà ad approfindire fino a incontrarsi bambina (Clelia Rossi Marcelli). E allora la memoria riaffiora, proprio come in una seduta di psicoanalisi, e riecco il mare, gli amici, il sole, le feste, i balli, le provocazioni ai ragazzi, la scogliera, i tuffi, e molto altro ancora.

Tornare è l’indagine di una donna, Alice, su quello che è accaduto prima della fuga dalla sua città – racconta la regista – è anche un thriller dell’inconscio e un film sul tempo, che non esiste come siamo abituati a pensarlo: basta uno spazio straordinario, una casa sugli scogli, un luogo fermo e sempre in movimento come il mare che la scuote, e gli eventi passati sembrano di nuovo tutti lì presenti. Mi sono ispirata alla storia di una mia amica e ho voluto raccontare di una femminilità che è anche quella di un desiderio erotico spesso frainteso. Tornare è forse il film più libero che ho fatto ed è stata una bellissima esperienza di lavoro in comune con i produttori, le scrittrici, i collaboratori artistici”. “Rimmergersi nel proprio passato è molto doloroso – dice Giovanna Mezzogiornoma è anche un modo per far pace con se stessi, la rimozione è un errore in fondo, l’affrontare le cose e metabolizzarle è importante per ripartire poi, come Alice, più forte e consapevole. Questo è un film che può toccare tutti, perché tutti noi vorremmo tornare ad incontrare ciò che eravamo prima. Io ad esempio ero un’adolescente, ma se incontrassi me bambina vorrei aiutarla, perché ne avrei avuto bisogno”.

Il film scorre molto lento per una buona parte, così come lento è il riappropriarsi di Alice dei suoi luoghi e dei suoi primi ricordi, l’atmosfera è cupa e si fa solare solo quando incontra la sua parte giovane, o almeno fino a che la ricorda così. Non sappiamo quasi nulla di lei com’è adesso, come vive e cosa prova, se non che probabilmente lavora come giornalista e che non ha un uomo accanto. Ma è quanto basta perché ciò che conta per Tornare, che andando avanti si fa sempre più thriller psicologico, è chi era davvero la giovane Alice e cosa diavolo può esserle accaduto di così tanto orribile da costringerla a dimenticarlo.

Beatrice Grannò tra Tornare, Doc e Gli Indifferenti, videointervista

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Romana, ma parla perfettamente il milanese e il toscano, come del resto l’inglese e lo spagnolo, oltre all’italiano ovviamente. 27 anni, occhi grandi color mare, bellezza solare. Beatrice Grannò è una delle giovani attrici di casa nostra più interessanti del momento. Una vita vissuta un po’ nella Capitale, ma poi anche in Toscana e a Londra. Interessi artistici a tutto tondo, dalla danza moderna al pattinaggio artistico, dal canto alla musica e qui dal pianoforte all’ukulele, fino al teatro e quindi al cinema e alla televisione, a partire da Don Matteo 9 dove era Valentina. Partita bene anche la carriera cinematografica visto che con Mi chiedo quanto ti mancherò di Francesco Feo si è portata a casa il premio come miglior giovane interprete nell’ultima edizione di Alice nella Città nell’ambito della Festa del Cinema di Roma 2019. E se non fosse per il Coronavirus, ora sarebbe di nuovo sul grande schermo in un film che invece è appena sbarcato on demand: Tornare di Cristina Comencini, da oggi, lunedì 4 maggio, su Sky Primafila Premiere, Timvision, Chili,  Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten TV, dove Beatrice Grannò recita a fianco di Giovanna Mezzogiorno, con la quale la ritroveremo, speriamo presto e in sala, anche ne Gli indifferenti, nuova versione cinematografica del romanzo d’esordio di Alberto Moravia firmata da Leonardo Guerra Serragnoli con Valeria Bruni Tedeschi, Edoardo Pesce e Vincenzo Crea, dove interpreta Carla, che nel romanzo è una ragazza senza sentimenti né passioni insidiata dall’amante della madre, ma qui, ci rivela Beatrice Grannò, non sarà proprio la stessa… Tutto l’opposto in ogni caso di Alice cui dà vita in Tornare e dove il suo ruolo è quello della protagonista adolescente, che, per qualche scherzo della mente, si incontra con l’Alice adulta, disincantata e rassegnata in un luogo senza tempo come la vecchia casa di famiglia di Napoli: è infatti una ragazza esuberante, vivace, con una gran voglia di godersi la vita, ed è così che Alice la ritrova nei suoi ricordi rimossi. A metà tra le due forse potremmo infine collocare Carolina che Beatrice Grannò interpreta in DOC Nelle tue mani, il medical drama di Rai 1 di cui abbiamo visto le prime quattro serate e che tornerà con il gran finale non appena si potrà riprendere a girare sul set gli ultimi ciak: Carolina è la figlia di Andrea Fanti, il medico interpretato da Luca Argentero, che si scorda completamente degli ultimi 12 anni della sua vita a causa di un colpo di pistola, ed è una ragazza singolare, addolorata dagli eventi, come la separazione dei suoi, ma al tempo stesso decisa a non mostrare la sua malinconia, tanto da rifugiarsi nella bulimia. L’abbiamo contattata via Skype per parlare di tutto questo, ma anche di altro, come, per esempio, oltre a tutto ciò che ha già fatto e che fa, cos’altro vorrebbe ancora fare, e anche se, a proposito di Tornare, conserva qualche ricordo particolare della sua infanzia, e curiosamente le due risposte sono alla fine diventate una sola e riguardano un obiettivo che sicuramente, con il suo entusiasmo e la sua tenacia, raggiungerà presto. Ecco dunque la nostra videointervista a Beatrice Grannò:

Danza, incontro e visione web gratuita del film Pina di Wenders

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Venerdì 8 maggio, alle ore 20.30, sulla piattaforma MYMOVIESLIVE verrà diffuso in streaming gratuito un dibattito in diretta tra esperti di danza e cinema, seguito dal film, candidato al Premio Oscar, Pina di Wim Wenders.

E’ il contributo di  Bim, Romaeuropa e MYmovies in occasione della Giornata Internazionale della Danza che si è celebrata il 29 aprile, nella speranza di tornare presto nelle sale cinematografiche e nei teatri.

Gli appassionati di cinema e danza potranno assistere a un evento unico, che a partire dallo stile performativo senza precedenti di Pina Bausch, a 80 anni dalla sua nascita, cerca di rintracciarne il lascito nelle più recenti generazioni della grande coreografa tedesca, scomparsa nell’estate del 2009, senza dimenticare chi scopre per la prima volta il suo lavoro o di chi lo osserva da lontano. 

A guidare l’incontro la drammaturga, autrice e studiosa di danza e teatro  Gaia Clotilde Chernetich, con la partecipazione, tra gli altri, di Monique Veaute, Presidente della Fondazione Romaeuropa,  di Francesca Pennini, coreografa della compagnia CollettivO CineticO  e  di Marzia Gandolfi, critica cinematografica.

La partecipazione alla  visione collettiva del film in streaming è gratuita; per farci accompagnare da Wim Wenders in un viaggio sensuale e di grande impatto visivo nell’arte unica e visionaria di  Pina Bausch, seguendo gli artisti della leggendaria compagnia sulla scena e fuori, nella città di Wuppertal,  è sufficiente collegarsi dal proprio pc, tablet o device all’indirizzo  https://www.mymovies.it/film/2011/pina/live/ e prenotare uno dei posti disponibili nella sala web. 

 

 

Buio arriva in streaming in direct to video, videointervista a Denise Tantucci

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Presentato lo scorso ottobre ad Alice nella Città, anche Buio vede la sua luce sul piccolo invece che sul grande schermo, causa sale chiuse per Coronavirus. Diretto da Emanuela Rossi, Buio è però il primo film che arriva su MyMovies giovedì 7 maggio in direct to video grazie all’adesione all’iniziativa di oltre 80 sale cinematografiche: sono infatti gli stessi esercenti ad invitare il pubblico alla visione on demand attraverso le proprie mailing list con link personalizzati per ciascun cinema, con il prezzo del noleggio pagabile direttamente sul sito del distributore. Alle 21 l’anteprima del film e il pubblico di questa proiezione potrà assistere a una presentazione che vedrà la presenza della regista, delle attrici protagoniste e dei produttori. Buio è una favola dark e distopica che vede protagonista Denise Tantucci, che appena possibile vedremo anche in Tre piani di Nanni Moretti, e di cui vi riproponiamo la videointervista realizzata ad Alice nella città dove ci racconta anche dei suoi progetti. Nel cast Valerio Binasco, Gaia Bocci, Olimpia Tosatto, Elettra Mallaby e Francesco Genovese.

Stella, Luce e Aria sono tre sorelle tenute segregate in casa dal padre perché fuori, racconta loro, c’è l’Apocalisse. Solo lui esce, bardato da capo a piedi tipo i medici e i paramedici del nostro tempo da Coronavirus, e lo fa per cercare del cibo da portare a casa, quello che trova in quel mondo fuori, distrutto e pericoloso. Soprattutto per le donne, che vengono bruciate dal sole divenuto troppo potente. Ma è davvero così? Anche Stella un giorno uscirà da quella che sembra una quarantena senza fine…

Vorrei tranquillizzare tutti: Buio non è un film autobiografico – dice Emanuela Rossi – Eppure, Buio parla di me.  La prima immagine di questo film è quella di una ragazza che sta soffocando, cerca la luce nell’oscurità di un interno domestico. Vengo da una famiglia marchigiana molto religiosa: a questa educazione oggi sono grata, soprattutto per il senso del sacro che mi ha regalato, ma a suo tempo ha significato soffrire per un ‘terrore’ del peccato che pervadeva un po’ tutto, specie in una famiglia con sei figlie femmine. Il mondo fuori? Contaminato, dunque meglio restare a casa, evitare le feste. Da quel senso di claustrofobia nascono molte delle atmosfere di Buio: ogni cosa parla in qualche misura di me. C’erano sicuramente modi più realistici per raccontare una ragazza di provincia soffocata dalla famiglia, ma cercavo un’astrazione che  – tornando con la mente ai miei ricordi di giovane spettatrice –  trovavo più in certi film alla Hitchcock che in un cinema naturalistico. E c’era un altro soffocamento che io volevo esprimere, la mia paura per una catastrofe ambientale che da tempo sentivo arrivare, sempre più imminente. Soffro per l’inquinamento e per i cambiamenti climatici da quando è nata mia figlia, e sono anni che d’estate mi angoscio per il troppo caldo. Mi chiedevo: ma se le temperature salissero ancora e non potessimo più uscire?   Se dovessimo stare sempre rinchiusi, come in un libro di Ballard? Da qui è nata l’idea di un film sulla quarantena, sul confinamento in casa, che poi in un attimo, pochi mesi dopo, è diventata tragicamente attuale”. La nostra videointervista a Denise Tantucci:


David di Donatello 2020 in sicurezza: premi a Franca Valeri, Ficarra e Picone, Parasite

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Quest’anno va così. Prima annullata, poi spostata all’8 maggio in versione tecnologica e in sicurezza. Appuntamento a domani dunque, venerdì 8 maggio, con la cerimonia di premiazione, la 65esima, dei David di Donatello 2020 – che conta 22 riconoscimenti a film usciti nelle sale italiane nel corso del 2019 – comunque trasmessa in diretta dalle 21.25 su Rai1 presentata anche quest’anno da Carlo Conti (QUI il trailer ufficiale). Tutti i candidati, che trovate QUI nel nostro precedente articolo pubblicato in tempi non sospetti, saranno collegati da remoto (chissà se in tuta o in abito da sera). Ma un premio è un premio e va celebrato, vorrà dire che quest’anno non dobbiamo preoccuparci di cosa indossare a bordo red carpet e di quanti caffè prendere per rivolgere domande quanto meno intelligenti ai vincitori dell’ambita statuetta. Detto ciò, in attesa di conoscere i trionfatori di domani, ecco i David di Donatello 2020 già assegnati.

Il David speciale 2020 va a Franca Valeri, che il 31 luglio compirà 100 anni: “un’icona dello spettacolo e della cultura italiana, tra radio e cinema, teatro e tv, finora mai candidata o premiata al David – spiega Piera Detassis, Presidente e Direttore Artistico dell’Accademia del Cinema Italiano Premi David di Donatello – eppure, con un lampo unico di creatività, è stata proprio lei ad aver letteralmente rivoluzionato la comicità e l’immagine femminile dal secondo dopoguerra con l’invenzione di personaggi simbolo come La Signorina Snob, la sora Cecioni, Cesira la manicure. L’ironia scorrettissima, il tratto rapido, il soprassalto linguistico e surreale sono i suoi strumenti per raccontare le tante identità femminili in mutazione. Autrice di diversi libri, tra questi ‘Il diario della signorina Snob’, ‘Le donne’ e il più recente ‘Il secolo della noia’, vera protagonista e mai solo caratterista, come talvolta descritta dalle biografie, è stata anche sceneggiatrice di alcuni grandi film come Il segno di Venere, Parigi o cara, Leoni al sole. Ha debuttato con Alberto Lattuada e Federico Fellini e lavorato con alcuni dei maggiori registi italiani, tra questi Mario Monicelli, Dino Risi, Steno, Vittorio Caprioli e Luciano Salce, spesso in coppia con Alberto Sordi, interpretando una rosa di personaggi memorabili, fra cui spiccano la Cesira de  Il Segno di Venere, Poppy in  Totò a colori, la signora De Ritis in  Un eroe dei nostri tempi, Lady Eva in  Piccola posta e, sopra ogni altro, Elvira la protagonista de  Il vedovo che distilla l’immortale battuta “cretinetti”. Alla sua visionaria intelligenza, patrimonio del nostro paese, siamo felici di assegnare il David Speciale del 65° anniversario. Grazie Signora Valeri”.

A Ficarra e Picone per Il primo Natale va invece il David dello spettatore che si assegna ogni anno al film più visto dal pubblico nei cinema italiani: “un premio alla miglior commedia di qualità, genere fondativo del nostro cinema – sottolinea ancora Piera DetassisIl primo Natale, viaggio nel tempo nella Palestina all’epoca della nascita di Gesù, conferma l’impegno e l’originalità dell’approccio al cinema del duo Ficarra & Picone. Un lavoro creativo, il loro, che guarda ai modelli alti della commedia italiana, coniugando passione per il racconto, interpreti inusuali, comicità mai ovvia e valorizzazione produttiva e artistica di tutte le professioni del set”. Il David al miglior film straniero va a Parasite del sudcoreano Bong Joon Ho, che proprio stasera, giovedì 7 maggio, arriva in prima TV esclusiva su Sky. David al Miglior cortometraggio va a a Inverno di Giulio Mastromauro. Da oggi inoltre, giovedì 7 maggio, i 5 cortometraggi finalisti – tra cui Inverno – sono visibili su RaiPlay e su Rai Cinema Channel. E per darloro maggiore visibilità, Rai Cinema Channel lancia #AdottaUnCorto che vede volti noti del cinema e dello spettacolo trasformarsi in ambassador dei colleghi più giovani per un progetto di #SolidarietàArtistica realizzando un piccolo video home-made in cui presentano il corto e invitano il pubblico a vederlo on line su www.raicinema.it

Non mancheranno gli omaggi: a cento anni dalla nascita, l’Accademia del Cinema Italiano celebrerà due fra i maggiori protagonisti della storia del nostro cinema: Federico Fellini e Alberto Sordi. Il regista cinque volte premio Oscar® sarà ricordato proprio attraverso gli aneddoti raccontati del grande attore romano con cui ha condiviso esordi, vita artistica ed esperienze sul set per film come Lo sceicco bianco e I vitelloni. Episodi della vita e della carriera di Alberto Sordi saranno invece affidati ai contribuiti di Paola Cortellesi, Christian De Sica, Sabrina Ferilli, Alessandro Gassmann, Luciana Littizzetto, Leonardo Pieraccioni, Vincenzo Salemme e Carlo Verdone.

Contemporaneamente alla Cerimonia di premiazione dei David di Donatello 2020, un flash mob organizzato da ANEC con hashtag #riaccendilcinema, vedrà le sale cinematografiche italiane riaccendere, per una sera, le insegne e gli schermi, in attesa della riapertura e di un ritorno alla normalità.

 

 

 

 

Parasite arriva in TV, miglior film straniero ai David di Donatello 2020

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Nuovo riconoscimento per Parasite del sudcoreano Bong Joon-Ho cui domani sarà consegnato il David di Donatello 2020 per il miglior film straniero e che proprio stasera, giovedì 7 maggio, arriva in prima TV esclusiva su Sky  – Sky Cinema e Sky Cinema 2 Due, disponibile anche on demand su Sky e in streaming su NOW TV – che inaugura così la nuova sezione dei “film più premiati”. Palma d’Oro a Cannes e ben quattro Oscar – film, film internazionale, regia e sceneggiatura originale – Parasite narra le gesta dei Kim, padre, madre, figlio e figlia, tutti disoccupati, poveri, ma molto uniti, fino a che Ki-Woo, il figlio maschio, non ottiene, tramite raccomandazione e falsificazione del curriculum, il ruolo di insegnante di inglese privato dell’erede della ricchissima famiglia Park. Padre, madre e sorella tentano quindi una strategia da arrampicatori sociali e sistemarsi tutti quanti… “Sebbene il titolo possa far pensare a un film di mostri o di fantascienza, Parasite è a tutti gli effetti quella che definirei una commedia umana, fortemente imbevuta di contemporaneitàdice Bong Joon-HoAnche se il plot è composto da una serie di situazioni uniche e peculiari, è comunque una storia che potrebbe accadere nel mondo reale. In questo senso è un dramma molto realistico. Ma è pur vero che nel mondo reale, i percorsi di una famiglia come quella composta dai nostri quattro protagonisti disoccupati e della famiglia Park non si incrocerebbero mai. L’unica possibilità di un incontro tra queste classi è un rapporto di lavoro, come quando qualcuno viene assunto come tutor o lavoratore domestico. In queste situazioni ci sono momenti in cui le due classi sociali sono così a stretto contatto da poter sentire l’uno il respiro dell’altro e vengono entrambe trascinate in una situazione in cui anche il più piccolo passo falso può portare a fratture ed esplosioni”.

Favolacce arriva on demand, intervista a Fabio e Damiano D’Innocenzo

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In Favolacce non c’è una tensione che sale come in un thriller, tutto sembra per lo più normale, per quanto normale possa essere la vita familiare ai bordi di una grande città come Roma dove non si è poveri ma neanche ricchi come forse si era sognato un tempo, con i vicini che ti sorridono davanti e sparlano di te alle spalle, un’ignoranza pigra che non sa nemmeno che non serve tagliare i capelli a tua figlia se ha i pidocchi, basta uno shampoo, ammesso che i pidocchi li abbia per davvero. Famiglie con bambini che sono figli, sorelle e fratelli, tutti in comune una sorta di disincanto che dovrebbe essere dei loro padri, sadici dentro, e delle loro madri, cieche e rassegnate. Invece spetta a loro, ai ragazzini che vanno a scuola ad imparare cose strane e pericolose da insegnanti strani e pericolosi, tocca a loro rivendicare la propria esistenza rinunciandovi via via nel tempo, obbedienti come cagnolini, sottomessi, mai ribelli, brace sotto la cenere che non si spegne ma neanche esplode, antagonista di quella rabbia repressa degli adulti che sfocia a tratti. Fino all’epilogo finale, ma anche quello in silenzio, senza rumore. Un epilogo che spiazza, la loro unica pacata ribellione.

Favolacce è l’opera seconda – ma da loro stessi definita “la seconda opera prima” – dopo La terra dell’abbastanza dei gemelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, già premiato a Berlino con l’Orso d’Argento alla sceneggiatura, che per la mancata uscita in sala per i motivi che tutti conosciamo targati Coronavirus, arriva lunedì 11 maggio su Sky Primafila Premiere, TimVision, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten TV con Vision Distribution. Una favola nera, che di favola in realtà ha ben poco “ispirata a una storia vera ispirata a una storia falsa… insensata, amara e irrealistica” recita la voce narrante di Max Tortora  – padre ignorante anche lui ne La terra dell’abbastanza – qui nei panni invisibili di un uomo che ha trovato il diario interrotto scritto in verde di una ragazzina e sentendosene quasi responsabile tanto da volerlo finire e raccontarlo. Con Elio Germano nel ruolo di Bruno, Barbara Chichiarelli che è sua moglie Dalila, e i giovanissimi Tommaso Di Cola e Giulietta Rebeggiani che sono i loro figli Dennis e Alessia. Poi ci sono Max Malatesta e Giulia Melillo che sono Pietro e sua figlia Viola Rosa; Gabriel Montesi che è il rozzo Amelio e Justin Korovkin che è suo figlio Geremia; Ileana D’Ambra è Vilma, Lino Musella è il Professor Bernardini e Laura Borgioli è Ada.

Un cast scelto più umanamente che tecnicamente, ci spiegano Fabio e Damiano D’Innocenzo:

“Quando scegliamo gli attori in realtà abbracciamo delle persone che sentiamo possano toccare delle corde vicine alle nostre, persone che hanno un certo modo di vivere, che non si nascondono, ti accorgi degli attori che hai sul set non quando recitano, ma quando li vedi che aspettano, mangiano, è lì che intravedi la persona e ti innamori di quella persona. Se non sono persone che stimi già sai che potrai starci tre mesi assieme”. 

Avete scritto Favolacce a 19 anni, lo avete realizzato oggi che ne avete 32, cosa c’è stato nel mezzo?

“Abbiamo fatto gavetta, commesso i giusti errori e incontrato maestri giusti e sbagliati, poi ci siamo trovati a metterlo in scena ed è stato naturale, il che non vuol dire facile. Quando abbiamo scritto questo film non sapevano come lo avremmo girato, stampato il copione per noi era finito”.

C’è una certa continuità nella tematica tra Favolacce e La terra dell’abbastanza

“Il fil rouge è l’abbrutimento che questo paese ha subito negli ultimi vent’anni, sono due film che mostrano figure genitoriali le cui colpe ricadono inconsciamente o meno sui figli e questo progressivo allontanarsi e distanziarsi reciproco, che è anche un distanziamento fisiologico, perché servirebbe in questo momento una vera frattura vera per ripulire alcuni vizi della società tessuti nel nostro DNA”.

I due protagonisti de La terra dell’abbastanza, Mirko e Manolo, avevano una durezza che in realtà era incoscienza, inconsapevolezza, stupidità… anche i personaggi di Favolacce agiscono in questo modo?

“Non crediamo che siano stupidi o ignoranti o incoscienti, penso semplicemente che nel momento storico che ci troviamo a vivere ci siano dei binari che sono più semplici da seguire e questa vita binaria che spesso porta a conseguenze disastrose l’abbiamo formata tutti noi assieme, semplicemente accumulando i nostri errori, ognuno di noi con una carica specifica, parlo anche del sistema politico che poi arriva a quello televisivo e condiziona le nostre vite anche in maniera sottile, meno diretta, ma più subdola. Come, in qualche modo, negare la nostra individualità, quella intesa in senso positivo, per cercare sempre di riuscire a sincronizzarsi con quelle che sono le regole sociali ormai cristallizzate e completamente sbagliate, che spesso sono però la risposta facile, mentre la più complicata vorrebbe dire andarsi ad interrogare veramente nel proprio animo, che è un’attività di rimozione che facciamo spessissimo. Penso che questi personaggi compiano atti non certo gradevoli e anche disumani e che lo facciamo con il culo parato perché “ lo hanno fatto già altre persone lo faccio pure io”, con questa cinicità. Infatti Favolacce si apre e si chiude con la stessa notizia, il che è un paradosso temporale voluto che tende in qualche modo a sottolineare che è tutto un ciclo e se non si interrompe, non ci sarà una fine”.

 

David di Donatello 2020, i commenti a caldo dei vincitori (video)

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Fa man bassa Marco Bellocchio con Il traditore, portandosi a casa ben 6 statuette – film, regia, sceneggiatura originale, montaggio, attore protagonista Pierfrancesco Favino e non protagonista Luigi Lo Cascio – ai David di Donatello 2020, premiato nel corso di una cerimonia a distanza ma al tempo stesso familiare, con mogli e figli dei vincitori in video tra baci e abbracci e dediche a madri e zii. Tutti del resto collegati da casa in diretta su Rai 1 dallo Studio 2 di Via Teulada a Roma pieno di statuette ma vuoto di gente, solo il conduttore al centro, Carlo Conti, per questa 56esima in piena fase 2 da Covid-19 che non ne ha però impedito la realizzazione, proprio perché in un momento così alto di crisi per tutti e anche per il mondo del cinema e dello spettacolo in genere, artisti e maestranze,  su cui tutti i candidati e trionfatori hanno dedicato gran parte dei loro discorsi, chi sperano in un domani imminente e migliore, chi chiedendo attenzione al mondo delle istituzioni. Come Pierfrancesco Favino premiato, come detto, con il David di Donatello 2020 per la sua interpretazione di Buscetta ne Il Traditore, riconoscimento che ha dedicato alla madre, e Luigi Lo Cascio premiato per lo stesso film come miglior attore non protagonista che lo ha dedicato a suo zio, l’attore Luigi Maria Burruano recentemente scomparso. A Jasmine Trinca per La Dea Fortuna di Ferzan Ozpetek il meritatissimo David di Donatello 2020 come miglior attrice protagonista, a Valeria Golino il David 2020 per 5 è il numero perfetto di Igort come miglior attrice non protagonista. A Bellocchio segue Pinocchio di Matteo Garrone con 5 statuette, scenografia, trucco, parrucco, costumi e effetti speciali. Miglior regista esordiente Phaim Bhuiyan per Bangla. Miglior documentario Selfie di Agostino Ferrente.

E guardando al cinema del futuro, omaggi a quello del passato con Federico Fellini e Alberto Sordi e il David alla carriera a Franca Valeri che, 100 anni a luglio prossimo, è stata presente solo con il cuore. La Cerimonia dei David di Donatello 2020 è stata aperta da una lettera del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che quest’anno non ha potuto incontrare i candidati al Quirinale e che ha sottolineato l’importanza e le difficoltà del settore, quello del cinema che è “arte del sogno che si realizza concretamente grazie a tanti professionisti che hanno un compito arduo sviluppare la cultura e tutelare il nostro patrimonio“.

Di seguito tutti i David di Donatello 2020 virtualmente consegnati ieri sera, ma prima una videosintesi dei commenti a caldo di alcuni vincitori:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACCADEMIA DEL CINEMA ITALIANO
PREMI DAVID DI DONATELLO

I VINCITORI DELLA 65ª EDIZIONE

MIGLIOR FILM
Il traditore – prodotto da IBC MOVIE, KAVAC FILM, con RAI CINEMA per la regia di Marco BELLOCCHIO

MIGLIOR REGIA
Marco BELLOCCHIO per il film Il traditore

MIGLIOR REGISTA ESORDIENTE
Phaim BHUIYAN per il film Bangla

MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Marco BELLOCCHIO, Ludovica RAMPOLDI, Valia SANTELLA, Francesco PICCOLO per il film Il traditore

MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE
Maurizio BRAUCCI, Pietro MARCELLO per il film Martin Eden

MIGLIOR PRODUTTORE
Andrea PARIS e Matteo ROVERE per GROENLANDIA, RAI CINEMA, GAPBUSTERS, ROMAN CITIZEN per il film Il primo re

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA
Jasmine TRINCA per il film La dea fortuna

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA
Pierfrancesco FAVINO per il film Il traditore

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA
Valeria GOLINO per il film 5 è il numero perfetto

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA
Luigi LO CASCIO per il film Il traditore

MIGLIORE AUTORE DELLA FOTOGRAFIA
Daniele CIPRI’ per il film Il primo re

MIGLIORE MUSICISTA
L’ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO per il film Il Flauto Magico di Piazza Vittorio

MIGLIORE CANZONE ORIGINALE
“CHE VITA MERAVIGLIOSA” musica e testi di Antonio DIODATO, interpretata da DIODATO per il film La dea fortuna

MIGLIORE SCENOGRAFO
Dimitri CAPUANI per il film Pinocchio

MIGLIOR COSTUMISTA
Massimo CANTINI PARRINI per il film Pinocchio

MIGLIOR TRUCCATORE
Dalia COLLI e Mark COULIER (trucco prostetico) per il film Pinocchio

MIGLIOR ACCONCIATORE
Francesco PEGORETTI per il film Pinocchio

MIGLIORE MONTATORE
Francesca CALVELLI per il film Il traditore

MIGLIOR SUONO
Presa diretta: Angelo BONANNI
Microfonista: Davide D’ONOFRIO
Montaggio: Mirko PERRI
Creazione suoni: Mauro EUSEPI
Mix: Michele MAZZUCCO
per il film Il primo re

MIGLIORI EFFETTI VISIVI
Theo DEMIRIS e Rodolfo MIGLIARI per il film Pinocchio

MIGLIOR DOCUMENTARIO
Selfie di Agostino FERRENTE

DAVID GIOVANI
Mio fratello rincorre i dinosauri diretto da Stefano CIPANI

DAVID DELLO SPETTATORE
Il primo Natale di Salvo FICARRA e Valentino PICONE

DAVID SPECIALE
Franca Valeri

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
Inverno di Giulio MASTROMAURO

MIGLIOR FILM STRANIERO
Parasite di BONG Joon Ho (Academy Two)

Favolacce: intervista a Elio Germano, padre frustrato e rabbioso

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Elio Germano è Bruno in Favolacce, opera seconda di Fabio e Damiano D’Innocenzo da lunedì 11 maggio su Sky Primafila Premiere, TimVision, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten TV, Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura a Berlino dove Elio Germano ha ricevuto lo stesso premio come miglior attore per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti. Bruno di Favolacce è un padre di famiglia, sposato con  Dalila (Barbara Chichiarelli), due figli che si chiamano Dennis e Alessia (Tommaso Di Cola e Giulietta Rebeggiani), obbedienti, rispettosi, con pagelle da mostrare e leggere ad alta voce quando vengono a cena amici e vicini, tutti 10. Mai potresti immaginare… Vivono nella periferia romana, quella sud dove ci sono le villette a schiera. Bruno non è né ricco né povero, ma certo frustrato, e rabbioso dentro. Ne abbiamo parlato direttamente con Elio Germano.

Bruno è un padre di famiglia, una di quelle che quando accade qualcosa di brutto viene con stupore definita dai vicini normale, con i figli modello, bravi a scuola… Qual è invece secondo te la sua colpa?

Innanzi tutto penso che il concetto di colpa, inteso come individuare un colpevole, sia qualcosa che serva a noi, a sentirci che i colpevoli non siamo noi, come diceva De André, ad assolverci in qualche modo, e credo sia un’operazione che in questo caso non debba essere fatta. Quando parli dei vicini che definiscono la sua famiglia normale, è in quella parola normale che risiede tutta l’inquietudine di quei personaggi. Cioè sono e siamo noi, immersi in questo mondo di rappresentazioni dove la cosa più grave di tutte è che non ci facciamo più domande, nessuno si interroga, durante la vita, sul senso di ciò che sta facendo. Quindi non so quanto lo facciano i genitori, probabilmente zero, e così i bimbi ma forse perché sono gli unici che possono e devono permettersi di non farlo. Perché è grave quando accade che dei bambini debbano farsi delle domande più grandi di loro come in alcune zone del mondo dove non si sta così bene come si sta qua. È come se si camminasse in questa rappresentazione, tutti a fare il proprio ruolo senza domandarsi più perché lo sta facendo, e penso che questo sia il virus che ci ha contagiato in questa parte di storia dell’umanità.

I bambini di Favolacce, soprattutto quelli di Bruno e Dalila, sono bravi a scuola, silenziosi e obbedienti, una rassegnazione apparente che ritroviamo anche in qualche modo  nell’epilogo finale, cosa ne pensi?

È proprio questa loro perfezione, questa loro diligenza che nasconde l’inquietudine, perché basta corrispondere ad alcune regole e va tutto bene. Sono perfetti, ma secondo quali regole e quali criteri e strutture? Secondo quelle di questa competizione che si esaurisce nella dimostrazione di alcune cose, per cui i voti sono il simbolo perfetto. Stiamo tutti a farci votare in continuazione:  guarda Facebook, è tutto un mi piace, ed è così anche nei rapporti umani ormai, una malattia comune per cui che se abbiamo tanti like siamo perfetti e i migliori di tutti, ma in effetti poi non è così. Credo che sia proprio quella la chiave di tutto.

Come ti sei trovato sul set e con il resto del cast scelto direttamente dai due registi?

È stato molti appagante trovarsi e confrontarsi con attori che, ognuno con la propria esperienza, hanno questa qualità, questo amore, questa sincerità… Si trattava per tutti noi di vivere delle cose e non di cercare di riprodurle o di inseguire  delle performance per farci dire quanto siamo bravi, ma cercare il più possibile di restare immersi in ciò che di volta in volta dovevamo raccontare, come di solito viene fatto con i bambini che, in questo caso, erano proprio dei nostri colleghi con quella loro professionalità incredibile e, per quanto mi riguarda, anche spaventosa. Essere qualcosa, e non riprodurlo, ha facilitato tutti noi anche come forma di ritorno personale.

Nessuno del cast ha una parte temporalmente più lunga degli altri, è difficile individuale un protagonista…

In realtà ci siamo sentiti tutti protagonisti, dovevamo essere quelle persone, non ci interessava sapere dov’era la macchina da presa in quel momento, che cosa si decideva di inquadrare, quanta parte di ciò che abbiamo vissuto sul set sarebbe poi andata a finire nel montaggio. Il vero piacere per me è proprio in questo  modo di lavorare e non nel pensare che avrei fatto una buona performance, piuttosto mi piaceva questo grande regalo di poter andare a lavorare sperimentando la libertà e questa mancanza di presunzione nel voler essere al di sopra del racconto, tanto da essere in grado, con qualche pennellata, di scrivere un personaggio come fanno i grandi attori. Noi invece siamo scivolati dentro le cose pensando il meno possibile a ciò che stavamo facendo.

Favolacce arriva on demand causa Coronavirus e quindi sale chiude. Eppure i set stanno riaprendo, cosa ne pensi?

Io credo che dovremmo aver imparato delle cose con questa pandemia, innanzi tutto cosa vuol dire fare un mestiere come il nostro e cioè cosa vuol dire stare dei mesi a casa senza nessuna possibilità di visione futura. Questa è una cosa che agli artisti, attori e musicisti capita molto spesso anche senza il virus e magari non hanno tutti la fortuna di avere una sicurezza economica come quella che è capitata a me in questo momento, che mi posso permettere anche di non lavorare, o comunque stare fermo è una possibilità piuttosto che una costrizione. Per molte altre persone però non è così. Il  nostro settore è già tra i più fragili perché non c’è coesione, c’è una grandissima competizione trasversale, non c’è una tutela e gli attori vengono presi per il collo alla minor paga e a qualsiasi condizione. Non c’è nessun protocollo in questo caso che possa salvarli anche perché non si può pensare di fare un film con mascherine e guanti o di metterli e toglierli ad ogni ciak e pensare che questo ci metta al sicuro dal Coronavirus. Quello che sta succedendo, come in tanti altri comparti lavorativi, è che non facciamo tesoro degli insegnamenti che dovrebbe averci regalato la pandemia e quindi a pagare saranno come al solito le persone più fragili.

In che modo?

Perché qualora i set riapriranno, andranno a lavorare solo le persone che non possono permettersi di dire di no, senza nessuna garanzia, con questa infamia, per quanto mi riguarda, che è quella dell’autocertificazione, come nelle fabbriche e così sui set, che poi non sono che posti di lavoro come un cantiere qualsiasi, dove ognuno con la propria professionalità fa il suo lavoro. Credo quindi che bisogna fare molta attenzione perché come al solito ci rimetterà le categoria più fragile, è  inevitabile. Io capisco l’urgenza di ripartire, che viene soprattutto dall’alto, ma mi piacerebbe che venga riconosciuta a livello istituzionale non solo una compensazione per le industrie e per le fabbriche, ma anche per i lavoratori come noi che non siamo tracciabili, non per nostra volontà, ma perché non siamo inseriti in nessun tipo di inquadramento per quanto riguarda il nostro mestiere.

Favolacce, videointervista a Fabio e Damiano D’Innocenzo

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Quando li abbiamo incontrati lo scorso anno ai Globi D’Oro dov’erano candidati per la loro opera prima La terra dell’abbastanza, chiedemmo loro di parlarci del nuovo progetto cinematografico, ovvero della loro opera seconda, e Fabio e Damiano D’Innocenzo ci risposero che si sarebbe intitolata Favolacce, ma che si sarebbe trattato della loro “seconda opera prima”. E abbiamo quindi deciso di cominciare da qui la nostra videointervista via Skype ai gemelli romani, registi, sceneggiatori, poeti e fotografi, che con Favolacce, presentato a Berlino dove si è guadagnato l’Orso d’Argento per la sceneggiatura, non escono purtroppo al cinema non certo perché non lo meritino, ma per i motivi che tutti conosciamo, ovvero le disposizioni anti Covid-19 che tengono chiuse le sale. Da domani, lunedì 11 maggio però, Favolacce (qui il resoconto della conferenza stampa tenuta via Zoom) sarà on demand su Sky Primafila Premiere, TimVision, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten TV con un cast eccezionale fatto di Elio Germano (qui la nostra intervista), Barbara Chichiarelli, Tommaso Di Cola e Giulietta Rebeggiani, Max Malatesta e Giulia Melillo, Gabriel Montesi e Justin Korovkin, Ileana D’Ambra, Lino Musella e Laura Borgioli. Una favola nera, che di favola in realtà ha ben poco, ma “ispirata a una storia vera, la storia vera è una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata” recita la voce narrante di Max Tortora nei panni invisibili di un uomo che ha trovato il diario interrotto scritto in verde di una ragazzina, sentendosene quasi responsabile tanto da volerlo finire e raccontarlo, concludendo dunque una storia “insensata, amara e irrealistica”. Anche di questo signore che non si vede abbiamo chiesto a Fabio e Damiano D’Innocenzo, così come di questi bambini che esistono in silenzio e in silenzio smettono di esistere, di questi padri rabbiosi e frustrati e di queste madri rassegnate, tutti a dar vita a una periferia che di certo non è soltanto geografica. E abbiamo chiesto loro anche di un libro fotografico che hanno appena pubblicato: si intitola Farmacia notturna e, credetemi, ha molto a che fare con il loro fare cinema. Ecco allora la nostra videointervista a Fabio e Damiano D’Innocenzo:

Claudia Gerini testimonial della campagna sul tumore ovarico (video)

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Sono molto felice di essere a fianco di tutte queste donne facendomi portavoce della campagna della fondazione AIOM, vogliamo aiutarle, sostenerle, offrire loro tante opportunità di cura e anche ascolto. Sarò molto felice di incontrarle un giorno quando sarà possibile…”  Così Claudia Gerini, attrice e conduttorice  (Suburra La Serie, A mano disarmata, Non sono un assasino, Hammamet, Amore e altri rimedi) testimonial d’eccezione, e autrice del videomessaggio che trovate a fine articolo, della campagna Tumore ovarico: manteniamoci informate lanciata l’8 maggio scorso, in occasione della Giornata Mondiale sul Tumore Ovarico, da Fondazione AIOM con ACTO, LOTO, Mai più sole, aBRCAdaBRA e il sostegno non condizionato di GSK che invita le donne a “mantenersi informate” su tutte le opportunità del percorso di cura e sulle nuove possibilità delle terapie di mantenimento di cui tutte le pazienti possono usufruire. A loro disposizione, come sottolinea anche Claudia Gerini, il sito www.manteniamociinformate.it  mentre nei  prossimi mesi ci saranno attività online e campagne social e verranno organizzati eventi ad hoc sul territorio. Perché la consapevolezza è tutto. E l’informazione anche. Così bisogna saperlo che se anche a colpirci è stato un tumore di quelli brutti, possiamo conviverci, curandoci, mantenendoci sempre aggiornate sulle nuove possibilità per tenerlo a bada. Ogni anno solo in Italia ogni sono più di 5mila le donne cui viene diagnosticato un tumore ovarico, che è uni dei più aggressivi e subdoli perché ha spesso sintomi difficilmente associabili, e questo naturalmente rallenta anche la possibilità di prevenzione. Ma al contempo “in questi ultimi anni la ricerca ha prodotto risultati importanti nel carcinoma ovarico – spiega Stefania Gori, Presidente Fondazione AIOM – oggi sappiamo che una terapia di mantenimento con farmaci orali determina lunghe sopravvivenze nelle pazienti cui siamo sempre al fianco, così come Associazioni pazienti, e con questa campagna vogliamo accendere i riflettori, per molti mesi, su questa malattia”. Ecco il videomessaggio di Claudia Gerini alle donne affette da tumore ovarico:


Barbara Chichiarelli è Dalila in Favolacce, videointervista

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Dalila è sposata con Bruno con il quale ha due figli preadolescenti, Dennis e Alessia, ragazzini tranquilli, apparentemente, con ottimi voti in pagella. Ragazzini sui quali a volte si abbatte la rabbia frustrata del padre, ma Dalila non reagisce più di tanto. Si preoccupa invece soltanto che non mandino giù i semi del cocomero che “sennò vi crescono le piante in pancia” mentre con i compagni di scuola fanno i compiti delle vacanze tutti insieme, seduti al tavolo della cucina, tra cavi elettrici, bottiglie di plastica tagliate, e cose che lei non capisce, però è contenta perché “amori che siete a studiare anche durante le vacanze, il sogno di ogni mamma…” Ad interpretarla in Favolacce di Fabio e Damiano D’Innocenzo (qui la nostra videointervista ai due registi) assieme a Elio Germano che è Bruno (qui la nostra intervista a Elio Germano) appena approdato on demand su Sky Primafila Premiere, TimVision, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten TV, è Barbara Chichiarelli, perfetta nel ruolo di una donna che nella nostra videointervista ci descrive come “apparentemente subalterna a suo marito, e cerca di tranquillizzarlo anche a discapito del suo rapporto con i figli, segue una traccia che è quella del ruolo di moglie e di donna, la sua colpa, come quella di Bruno, potrebbe essere l’ignoranza, nel senso di ignorare…

E c’è parecchio in comune con altre donne interpretate da Barbara Chichiarelli sul piccolo schermo e a teatro, come Livia Adami, sorella di Aureliano (Alessandro Borghi), in Suburra La Serie che le ha dato tanta popolarità, altra donna di periferia sottomessa al maschio, anche se a vederla è forte e determinata. E con Ifigenia, quella in Splott portata dall’attrice romana sul palcoscenico. Tanti anche i suoi progetti. Presto rivedremo infatti Barbara Chichiarelli nel film di Pilati e Guida Maschile singolare, e anche in TV ne La compagnia del Cigno 2 dove interpreta Antonia, altra donna disagiata, madre di Rosario, e come nuovo personaggio nel Silenzio dell’acqua 2, protagonisti Ambra Angiolini e Giorgio Pasotti, con il resto del cast tutto rinnovato e un nuovo caso per i due investigatori. Di tutto questo e anche del suo progetto da regista, ma anche di un altro cui sta già lavorando, abbiamo parlato direttamente con lei in collegamento via Skype, ecco allora la nostra videointervista a Barbara Chichiarelli:

 

 

 

 

 

 

 

La foto di Barbara Chichiarelli è di Angelo Costanzo per SpettacoloMania

Tulipani di Seta Nera 2020 in streaming e con 50 corti

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Tutto pronto per Tulipani di Seta Nera 2020, il Festival Internazionale dei Cortometraggi a tema sociale giunto alla 13esima edizione che, per ovvie ragioni, non potrà quest’anno che andare esclusivamente in streaming, oltre che su alcuni canali Sky del digitale terrestre, e sulla pattaforma RaiPlay per una platea di oltre 16 milioni di spettatori. Il che accadrà dal 18 al 21 giugno prossimi dalle 17.30 alle 21.00. E in streaming si è tenuta anche la conferenza stampa della manifestazione.

La prima novità di Tulipani di Seta Nera 2020 saltata all’occhio è il numero crescente dei corti saliti da 30 a 50 e arrivati anche da molto lontano, tutti già visibili sul sito www.tulipanidisetanera.rai.it e in corsa per il Premio Sorriso RAI Cinema Channel. E a quello che avrà ricevuto più visualizzazioni a partire da domani, mercoledì 13 maggio, sarà assegnato il riconoscimento speciale del pubblico del mondo digitale. “Quest’anno abbiamo superato le 200 iscrizioni e i cortometraggi sono giunti da moltissimi paesi stranieri come Stati uniti, Germania e Spagna” ha rivelato con soddisfazione il direttore artistico Paola Tassone, che è anche la fondatrice della manifestazione assieme al presidente Diego Righini, al Presidente dell’Associazione Università Cerca Lavoro Ilaria Battistelli e al produttore Leonardo Jannitti Piromallo. Poi sui criteri di selezione ha aggiunto: “con Rai Cinema abbiamo privilegiato in particolare corti e registi che sono riusciti a cogliere e raccontare in pochi minuti tematiche sociali molto complesse e attuali come il bullismo, la violenza di genere, il disagio e l’indifferenza legata alla posizione e condizione economica. Così come quelli che ci hanno colpito per l’abilità dei registi che, insieme ai loro sceneggiatori, sono stati in grado di esprimere la diversità anche in modo onirico, fantasioso e ironico”. Un occhio attento quindi a forme e contenuti, ma anche alle capacità e alle potenzialità di chi quei contenuti li mette in video, come in apertura di conferenza stampa ha sottolineato l’AD di Rai Cinema Paolo Del Brocco ribadendo “l’importanza di questa manifestazione nello scoprire e supportare veri talenti”. Come nelle passate edizioni anche quest’anno per l’intera manifestazione sarà garantito il servizio d’interpretariato da/in lingua dei segni italiana (LIS) gentilmente offerto dall’Ente Nazionale Sordi – ENS Onlus. Ecco di seguito tute le opere in concorso a Tulipani di Seta Nera 2020:

“99,9%” di Achille Marciano; “11” di Piergiorgio Martena; “Alters” di Artemisio Desiderio; “Apolide” di Alessandro Zizzo; “Apollo 18” di Marco Renda; “Apparentemente Solo” di Riccardo Trentadue; “Arrete de faire la guele, Isa!” di Renard Yseult; “Back Home” di Marcello De Archangelis; “Burning Red” di Fabrizio Ancillai; “Come in certi romanzi Russi” di Rosanna Reccia; “Come la prima volta” di Emanuela Mascherini; “Cuori senz’anima” di Tony Paganelli; “Di chi è la terra” di Daniela Giordano; “Don’t be silent” di Angelo Faraci; “Essere diversi” di Francesco Musto; “Eva” di Paolo Budassi; “Fade Out” di Lucio Laugelli; “Florindo e Carlotta – La vita segreta delle chiocciole” di Rossella Bergo; “Giulia una storia qualunque” di Vincenzo Ardito; “Gocce d’acqua” di Max Nardari e Marco Matteucci; “Humam” di Carmelo Segreto; “Hush” di Tyler Chipman; “Il giovane giudice” di Angelo Sferrazza; “La forza di Alice” di Michele Li Volsi; “L’esecuzione” di Riccardo D’Alessandro; “Light” di Martina Bonfiglio; “Lion” di Davide Melini; “L’uomo che uccise James Bond” di Francesco Guarnori; “L’urlo” di Francesco Barilli; “Ma chi ti conosce!” di Vito Marinelli; “Martino” di Luigi Di Domenico; “Maxim” di Deborah Donadio; “Mille e una vita” di Daniele Fanciullo; “Nemo Propheta” di David Cinnella; “Nero su bianco” di Angelo Frezza; “Nico&Nico” di Emanuela Giorgi e Nicola Anselmi; “Nina” di Sabina Pariante; “PinOcchi” di Damiano Scarpa; “Plastica” di Dario Ciulla; “Questo è lavoro” di Federico Caponera; “Rifugi” di Luca Cutini; “Roller Coaster” di Manuela Jael Procaccia; “Silence” di Silvio Maria Cantoro; “Sottosuolo” di Antonio Abbate; “The human bugs anthology – Caresses” di Andrea Cecconati; “Un padre” di Roberto Gneo; “Una bellissima bugia” di Lorenzo Santoni; “Una luce nel muro dell’oscurità” di Antonio Paganelli; “Una signorina con sesamo” di Giuseppe Moschella; “Vado e torno” di Carlo Barbalucca.

Tulipani di Seta Nera 2020  è istituito dall’Associazione Università Cerca Lavoro con la partnership di Rai Cinema Channel, il supporto della Regione Lazio, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il patrocinio della Roma Lazio Film Commission e la collaborazione con l’Istituto CineTv R. Rossellini e l’Anas spa.

I Miserabili secondo Ladj Ly inaugura MioCinema

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Dell’opera di Victor Hugo conserva il titolo, l’ambientazione a Montfermeil, alla periferia parigina, dove nel romanzo c’era la locanda dei perfidi Thénardier, e di certo il senso racchiuso nella frase finale del film, e cioè che “non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”. I Miserabili di Ladj Ly che a Montfermeil è nato e cresciuto e tuttora vive, e a cui ha dedicato dei corti prima di renderlo teatro del suo primo lungometraggio, è stato esso stesso un corto. Nel 2005 nella vicina Clichy-sous-Bois due ragazzi muoiono folgorati in una cabina della rete elettrica mentre scappano dalla polizia, scatenando tre settimane di disordini che si estendono per l’intera area, incluso Montfermeil. I Miserabili di Ladj Ly non racconta questo, perchè siamo nel 2018 e la Francia ha appena vinto i mondiali, ma quelle sommosse vengono citate e restano emblema di un clima pesante di disagio, povertà, sfruttamento che nelle banlieue si continua a respirare a fatica ancora oggi laddove regnano miseria e disoccupazione e tutti devono sopravvivere tra compromessi e cadute libere, vere e proprie polveriere che basta una scintilla a farle esplodere. Tutte cose che Ladj Ly conosce molto bene: “in questo film racconto un po’ la mia vita, le mie esperienze, quelle delle persone che mi sono vicine – spiega – tutti gli elementi della storia si basano su cose realmente vissute: i festeggiamenti per la vittoria della Coppa del mondo di calcio, ovviamente, l’arrivo del nuovo poliziotto nel quartiere, la storia del drone… Per cinque anni, ho filmato con la mia videocamera tutto quello che avveniva nel quartiere e soprattutto quello che facevano i poliziotti, non li perdevo d’occhio. Appena arrivavano, prendevo la videocamera e li filmavo, fino al giorno in cui ho immortalato un loro vero e proprio abuso. Ho voluto mostrare tutta l’incredibile diversità che costituisce la vita nei quartieri popolari. Abito ancora lì, sono la mia vita e mi piace filmarli. Sono il mio set cinematografico!” Tutto ciò è evidente nella veridicità di ripresa tanto che a volte sembra di assistere a una diretta televisiva e l’impatto che ne deriva è forte e sincero.

Premiato dalla giuria a Cannes, I Miserabili racconta in particolare le gesta non proprio edificanti di una squadra anticrimine che gestisce a suo modo la calda situazione che vede opporsi bande criminali, membri di congreghe religiose e orde di ragazzini che partono all’attacco all’unisono se pesti i piedi, o la faccia, a uno di loro. E basta un niente per arrivare alla guerra. Stephane Ruiz (Damien Bonnard) è l’ultimo arrivato, si è trasferito a Montfermeil perché lì vive la sua ex moglie con suo figlio, e per lui non è facile abituarsi ai modi dei due compagni di squadra, i veterani Chris e Gwada (Alexis Manenti e Djebril Zonga) che infastidiscono le ragazzine, sono violenti coi bambini, fungono da tramite tra i criminali, i boss locali – uno lo chiamano il sindaco – gli zingari… Difficile distinguere tra buoni e cattivi, così si resta più o meno neutrali, o almeno questa è la visione e l’intenzione del regista che guarda il tutto da dentro: “ci sono buoni e cattivi da entrambe le parti. Io cerco di filmare ogni personaggio senza formulare alcun giudizio – spiega Ladj LyIl ‘sindaco’ ha un lato educatore e allo stesso tempo è un po’ sordido, i poliziotti lo stesso, sono via via simpatici, disgustosi, umani… Navighiamo in un mondo talmente complicato che è difficile esprimere giudizi rapidi e definitivi. I quartieri sono delle polveriere. Ci sono i clan e, ciò nonostante, cerchiamo di vivere tutti insieme e facciamo in modo di evitare che le situazioni sfuggano di mano. È questo che mostro nel film, i piccoli aggiustamenti quotidiani che ciascuno compie per restare a galla. La responsabilità primaria ricade sui politici. Negli ultimi trenta o quarant’anni hanno lasciato degenerare la situazione, ci hanno abbindolati con decine di parole e piani – piano periferia, piano politico per la città, piano a destra e piano a sinistra – e il risultato è che non ho mai visto cambiare qualcosa da trent’anni a questa parte”.

I Miserabili arriva lunedì 18 maggio su ​www.miocinema.it ad inaugurare la nuova piattaforma dedicata agli amanti del cinema d’autore che offre visione in sala​, film in streaming, promozioni, contenuti originali, servizi, informazioni, masterclass, anteprime esclusive e molto altro, progetto dinamico ambizioso cui hanno già aderito 137 sale che punta a divenire un vero e proprio ​punto di riferimento per i tanti appassionati del buon cinema e a rendere il cinema stesso un punto di ìincontro sociale e culturale sul territorio, mettendo per la prima volta in relazione il pubblico, la sala e  il mondo digitale​. MioCinema celebra anche il Festival di Cannes con 14 film titolari della Palma d’oro. I Miserabili è disponibile, sempre da lunedì 18 maggio, anche su Sky Prima Fila Premiere.

 

 

 

 

Anna Ferzetti nel corto Stop! sul futuro del pianeta

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Anna Ferzetti è la protagonista di Stop!, cortometraggio ambientato in un 2050 non proprio roseo coprodotto da Alfonso Maria Chiarenza e Massimiliano Bruno che firma anche la sceneggiatura assieme al regista Salvatore Fazio alla sua opera prima. Anche lei candidata ai David di Donatello 2020 come migliore attrice non protagonista in Domani è un altro giorno di Simone Spada accanto a Valerio Mastandrea e Marco Giallini, ha portato il suo sincero e contagioso entusiasmo nel corso della cerimonia di premiazione trasmessa in diretta l’8 maggio scorso da Rai1 in un’edizione tecnologica con collegamenti direttamente dalle case dei partecipanti, quando l’abbiamo vista entrare in video ad abbracciare il suo compagno, Pierfrancesco Favino, vincitore del David come migliore attore protagonista de Il Traditore di Marco Bellocchio. In Stop! Anna Ferzetti interpreta una giovane donna costretta a fare i conti con il suo passato, mentre tutto intorno il mondo si avvia verso l’autodistruzione a causa del riscaldamento globale, ma forse a salvarlo sarà proprio una donna. Un’opera realizzata per far tornare a riflettere sulle condizioni del nostro pianeta e su come il futuro stesso della terra e quello di ogni persona che la abita siano strettamente collegati e dipendenti l’uno dall’altro. Nel cast di Stop! distribuito da Premiere Film troviamo Andrea Venditti, Giancarlo Porcari, Chiara Tron, Marco Landola, Federico Maria Galante, Silvia Maria Vitale, David Marzullo, Andrea Galasso e Daniele Blando, mentre la colonna sonora è di Micki Piperno. Romana, figlia d’arte, ovvero del grande attore Gabriele, Anna Ferzetti ha esordito al cinema nel 2013 nel film Il Natale della mamma imperfetta di Ivan Cotroneo, passato subito su Rai 2, sequel della web serie Una mamma imperfetta trasmessa poi anche questa da Rai 2 che le ha dato la  grande popolarità. Da allora l’abbiamo vista sul grande schermo in Slam e ne Il colore nascosto delle cose di Soldini e sul piccolo in Rocco Schiavone, Amore pensaci tu e Duisburg – Linea di sangue accanto a Daniele Liotti (Qui la nostra videointervista a Anna Ferzetti). A  Sanremo 2019  ha condotto con Simone Montedoro la fascia quotidiana di Rai 1 Prima Festival.

 

 

Georgetown, opera prima di Christoph Waltz con Vanessa Redgrave

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Se devi dire una bugia, dilla grossa, che più è grossa e più facilmente sarai creduto. Sembra essere il motto di Georgetown, opera prima da regista di Christoph Waltz (Oscar, Bafta e Golden Globe come Migliore Attore Non Protagonista per Bastardi Senza Gloria e Django Unchained di Quentin Tarantino) che l’ha scritta assieme a David Auburn e nella quale dirige ambiziosamente un cast composto ninete meno che da Vanessa Redgrave e Annette Bening, e che include se stesso nel ruolo del protagonista, Ulrich Mott, mitomane sofisticato e alquanto irritante nei suoi modi di fare che spaziano dal servilismo alla mania di grandezza, fino a raggiungere vette da delirio di onnipotenza modellandosi la realtà a proprio vantaggio arrivando a crederci egli stesso fino in fondo. E la cosa più inquietante è che si tratta di una storia vera, svelata nell’estate del 2012 dal New York Magazine in un articolo scritto da Franklin Foer intitolato The Worst marriage in Georgetown, ovvero Il peggior matrimonio di Georgetown, che è lo storico quartiere di Washington dove si è consumata la storia.

Andò così e così va nel film: Ulrich Mott (in realtà Albrecht Muth) interpretato dunque da Christoph Waltz, è un ambizioso quanto subdolo tedesco che decide di aver diritto a gloria e fama nell’ambito politico e istituzionale statunitense. Da tirocinante fin troppo zelante di un senatore americano, organizza la sua ascesa sociale sfruttando via via le conoscenze di sua moglie Elsa Brecht (Viola Drath nella realtà) interpretata da Vanessa Redgrave, una giornalista abbastanza nota nell’ambiente di 44 anni più grande di lui. Dopo un primo approccio a un ricevimento, che grazie al suo modo adulatorio e a tratti affascinante riesce a trasformare in una cena a due, non si arrende al primo no della donna di “approfondire” il rapporto perché sposata, ma attende con pazienza e inquietante lungimiranza la di lei vedovanza, condizione che in realtà la getta nella più immobile disperazione. Ma Ulrich è sempre affiancato da una certa dose di fortuna e di circostanze inaspettatamente favorevoli, senza le quali non sarebbe certo riuscito a ingannare nessuno, sin da quel suo primo piano che offre poi il là a tutta la vicenda. Immersa nella malinconia e solitudine più profonda, Elsa viene incredibilmente risvegliata da quel torpore luttuoso da una provvidenziale telefonata di Ulrich che lei deve aver preso come una sorta di mano testa dal destino, ed è così che alla fine pruncia il fatidico sì. Elsa diventa quindi per Ulrich il perno su cui far leva per arrivare a qualcuno che poi porterà a qualcun altro che a sua volta lo condurrà nelle grazie e nelle raccomandazioni di qualcun altro ancora. Fatto sta che in pochi anni l’impostore si costruisce l’immagine, assolutamente falsa, dell’uomo dalle mille risorse, indispensabile al paese quasi quanto le sue cene da lui stesso preparate piatto per piatto e servite nella propria casa ad ambasciatori, diplomatici, funzionari della Casa Bianca, generali, tutta gente importante quanto incredibilmente vittima delle sue manipolazioni, arrivando a fondare il “gruppo delle persone eminenti”, una sorta di ONG che avrebbe avuto il compito di consigliare il segretario delle Nazioni Unite da lui chiamato semplicemente, e impertinentemente, zio Kofi. Ulrich Mott convince persino tutti di aver portato a termine una pericolosa quanto determinante azione in Iraq, attento a farne coincidere l’esito con quanto accade nella realtà, e preoccupandosi di documentare il tutto con mail deliranti ma, chissà come, ritenute veritiere. Qualche sospetto di Amanda (Annette Benning), figlia di Elsa, docente ad Harvard di diritto costituzionale, non basta. A smascherarlo, probabilmente troppo tardi, dopo aver subito i suoi sbalzi di umore e anche diversi episodi di violenza, è proprio la moglie che però non ha il tempo di farne parola con nessuno, visto che viene trovata morta ammazzata in casa sua nelle ore successive a una di quelle assurde cene. Evento che in Georgetown viene scelto come punto fermo da cui andare avanti e indietro per raccontare l’intera storia, che alla fine vede Ulrich Mott accusato dell’omicidio di Elsa Brecht.

Sulla storia in sé, essendo vera, nulla si può dire se non farsi centomila domande su come un tale impostore possa averla fatta franca per tutto quel tempo. Sulla messa in scena cinematografica, per quanto il cast sia ineccepibile, c’è da dire che a tratti prevale un senso di lentezza, ripetitività e di noia e che quasi mai il fascino, più volte esplicitamente citato, del protagonista incarnato da Christoph Waltz emerge davvero nella sua interpretazione, risultando al contrario nei modi piuttosto fastidioso, viscido e palesemente contraffatto, così che appare davvero inverosimile che possa aver ingannato statisti e politici, giornalisti e intellettuali, e la stessa giornalista esperta destinata al triste destino di sua consorte: se si fosse presentato a noi in quelle modalità, non avremmo creduto a una sola parola. Georgetown arriva on demand con Vision Distribution martedì 19 maggio su Sky Primafila Premiere, Apple TV, Chili, Google Play, Infinity, TimVision, Rakuten TV, The Film Club e CG Digital.

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